La vicenda che vede protagoniste Cina e Hong Kong si arricchisce ogni giorno di un nuovo capitolo, che potrebbe modificare le strutture internazionali esistenti. L’ultima, in ordine di tempo, è la resa di Carrie Lam: la legge sull’estradizione è ormai morta e sepolta, a detta della governatrice. I manifestanti pro-democrazia, tuttavia, non sono convinti che sia un’azione politica concreta – come ci ha spiegato una nostra fonte anonima. Nonostante ciò, all’indomani dell’annuncio, Pechino non si è svegliata con tranquillità. E, dopo le prime settimane di silenzio stampa, ha cominciato a ‘bombardare’ i media con una propria guerra all’informazione.
Cina e Hong Kong, Pechino accusa l’Occidente di parzialità
Come esempio cardine, AsiaNews.it cita un articolo del Global Times. Nel dettaglio, il tabloid “quasi ufficiale” legato al Quotidiano del popolo della Repubblica comunista cinese accusa i media occidentali di “promuovere una ‘rivoluzione colorata’ ad Hong Kong. Per ‘rivoluzione colorata’ si intendono le rivolte di popolo che hanno avuto luogo nei Paesi dell’Est Europa”. Le stesse “che hanno portato alla caduta dell’Urss, o quelle legate alla ‘primavera araba’, che hanno causato la caduta di diversi regimi medio-orientali”.
Shen Yi, l’autore dell’articolo, è solo una delle tante personalità cinesi che si scaglia contro il sentimento internazionale in difesa dell’ex colonia britannica. In particolare il direttore del Centro per la governance del cyberspazio all’università di Fudan (Shanghai) parla del movimento degli ombrelli dell’isola come di una realtà che promuove “rivolte di strada”. Oltretutto “sostenute da governi stranieri per i loro ‘interessi nazionali'”.
Fake news e patriottismo al centro della manipolazione informativa
Una delle azioni portate avanti dai media cinesi è la creazione di false notizie partendo da foto realmente esistenti. Ad esempio, “una manifestazione di genitori di Hong Kong che difendevano i loro figli dalle accuse di rivolte, è stata presentata come una dimostrazione contro i ‘rivoltosi'”. E ancora, la storia tra Cina e Hong Kong viene raccontata da Pechino con toni assolutamente riconvertiti. “Le violenze dei teppisti e mafiosi di Yuen Long contro i giovani manifestanti” diventano come per magia “una reazione spontanea della popolazione ai soprusi e alle violenze dei dimostranti”.
Il tutto, ovviamente, condito con il classico minimo comun denominatore della politica di Xi Jinping: patriottismo, ovunque. In particolare nel sostenere che “i movimenti di massa sono manipolati e guidati da potenze straniere e che i ‘rivoltosi’ vogliono distruggere il benessere di Hong Kong”. Una battaglia informativa che, intanto, è resa ancora più complessa per la Cina dal momento in cui Facebook e altri social hanno cancellato le fake news online al riguardo. A sottolineare il fatto che la verità, prima o poi, viene sempre fuori.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante
Foto della fonte anonima di Aref International Onlus a Hong Kong raffigurante il corteo di domenica 8 settembre 2019 da Charter Garden all’ambasciata americana.