Iaia… una donna davvero preziosa. Volutamente non mi soffermo su tutti gli insegnamenti professionali. Perché penso siano sovrapponibili a quelli delle centinaia di persone che hanno avuto l’onore di lavorare con lei. Ricordo qui solo alcune delle sue domande: “Ma che avrai tanto da scrivere in quel quaderno?”. “Quale parte di te fa finta di essere d’accordo?” “Lascia perdere il limite e dimmi il compenso”. “La penna rossa marca l’errore. Qual è il tuo colore per la risorsa?”. “Sei sicura di aver preso la famiglia per le palle? E, nel caso, lo hai fatto come se fossero le tue?”. Iaia aveva il potere di trafiggere l’anima senza far danno. E quello di perdersi insieme a te in un vortice, con la certezza di riportarti a galla. In tutti gli anni in cui ho avuto il dono di lavorare insieme a lei, proprio all’inizio della mia formazione come psicoterapeuta della famiglia, nonostante fosse stra-palese lo scarto professionale, non ho mai avuto la sensazione che volesse rimarcarlo. Né che i gruppi che ci erano affidati cogliessero il soffio di una squalifica. E già queste qualità, non comuni, potrebbero bastare. Ma Iaia ha fatto emotivamente per me, con naturalezza e semplicità, quello che pochi sarebbero riusciti a fare. O che nessun altro ha fatto. Mi ha preso per mano in uno dei momenti più bui della mia vita. Quando, a distanza di due mesi ho perso mia madre e mio padre, plinti della mia vita. E Iaia, senza consigli inutili o lenimenti protettivi, si è seduta con me, sulla stessa panchina. Quel tanto che poteva servire. Poi mi ha strappato via anche da quel sedile, con determinazione senza replica e mi ha portato in un mondo per me ignoto. Un paese, il Ladakh, di cui non conoscevo nemmeno il nome. E che ha cambiato il volano della mia storia. Facendo sì che il lutto immenso per i miei amatissimi genitori, fosse generativo. Dando inizio a quell’Associazione che porta il loro nome e che è stata segno di vita per molti che avevano fronteggiato perdite ancora maggiori, della patria, degli affetti, della Libertà e della Pace. Dei tanti ricordi di quel viaggio speciale – cui tanti altri sarebbero seguiti – voglio condividere qualche immagine, con il vissuto metaforico che le accompagna. Iaia che scende, in un vallone roccioso, senza correre ma senza fermarsi. Iaia che condivide, guidando con naturalezza e disponibilità, esperienze capaci di togliere il respiro. Iaia che si gode il piacere di stare “più in basso”. Iaia che ha la capacità di rendere le relazioni antitetiche e complesse quantomeno possibili e anche leggere. Iaia che si nutre di differenze e, con naturalezza contagiosa, costruisce ponti e rende possibili legami. Infine la foto che Iaia ha sempre tenuto nel suo studio, un’immagine iconica nel corso di tutta la mia esperienza professionale. Quello di non avere, quando occorre, nessuna esitazione e neanche vergogna. Il mio augurio per Iaia è quello che l’ultima foto casualmente “sbagliata” per inclinazione, possa essere simbolo della sua “vita dopo la vita”. Un viaggio sorridente, cullata da onde leggere, dove poter appoggiare le spalle durante ogni salita.








