Gli “Istituti Confucio” (IC) sono sedicenti “centri culturali” creati dal governo cinese con lo scopo ufficiale di promuovere la lingua e la cultura cinese nel mondo. Il loro nome deriva da quello del filosofo Confucio, figura simbolo della cultura tradizionale cinese, nonostante i programmi didattici non siano incentrati sul confucianesimo ma sulla lingua, arte e storia cinese. Si tratta di Organizzazioni no-profit originariamente create dall’Ufficio “Hanban” del Ministero dell’Istruzione Cinese e, successivamente, frutto di accordi bilaterali tra Università cinesi e straniere, sotto le apparenze “dichiarate della formazione e promozione della cultura (sul modello del Goethe Institute, del British Council o dell’Alliance Française). Tali Istituti sono uno dei tanti strumenti di propaganda della leadership post-maoista e si occupano di esercitare influenza attraverso il potere di attrazione culturale (Soft Power). L’idea nacque intorno agli anni 2000 e gli Istituti venivano inizialmente promossi come strumenti di scambio culturale. Ma negli ultimi anni, sono finiti al centro di varie polemiche, quali strumenti di “soft power” cinese, con l’obiettivo di veicolare la politica della RPC e anche di spionaggio industriale e repressione ideologica. Questi Istituti, dopo primi anni di proliferazione, arrivando a quasi 850 nel mondo nel 2012, hanno subito un forte decremento per le preoccupazioni che hanno sollevato, in particolare in Europa e Nord America.
Il primo IC è stato aperto a Seul in Corea del sud, nel 2004 e il secondo nel 2007 all’Università di Waseda in Giappone. Già nel 2014 se ne contavano 465 in 123 nazioni per un totale di 850mila alunni e 713 Classi. Gli Stati Uniti ne ospitavano circa la metà, l’Italia 32: 11 IC (Napoli, Firenze, Roma, Bologna, Milano, Venezia, Macerata, Torino, San Marino, Pisa e Padova e, ultima, Enna) e 20 Classi Confucio (CC) aperte all’interno di scuole di diverso ordine e grado. Con l’obiettivo di aprirne 500 entro la fine del 2015, per un totale di 1 milione e mezzo di studenti. Di fatto è stato calcolato che ogni 6 giorni si inaugurasse un nuovo IC in qualche parte del Mondo.
Il Dipartimento degli Stati Uniti li ha definiti come “missioni straniere di propaganda” che minacciano la libertà accademica stabilendo i programmi e censurando temi politicamente sensibili come Tibet, Hong Kong e i diritti umani. Tanto che, di recente, si è vista una chiusura totale degli istituti in Stati Uniti, Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia e Germania, anche il Belgio non ha rinnovato l’accordo per accuse di spionaggio.
L’Italia, purtroppo, è una delle poche eccezioni che vede un aumento del numero di IC, attualmente sono 12 attivi nelle università. Mentre le CC sono oltre 20 all’interno di scuole medie e superiori.
Il numero potrebbe anche aumentare nonostante il crescente dibattito internazionale sulle influenze geopolitiche di questi Istituti.
Gli Istituti, al di là dell’operazione culturale, fungono da organo avanzato di propaganda del Partito Comunista Cinese, non solo edulcorando la visione di Pechino agli occhi del mondo ma ponendo veri e propri veti, più o meno palesi, nei confronti di iniziative culturali sgradite al Partito.
Il budget per il loro funzionamento è stato esponenziale, fino ad arrivare, nel solo 2013, a 248 milioni di dollari, quattro volte la spesa del Ministero delle Finanze nel 2006, quando venne pubblicato il primo rapporto annuale. Basti pensare che i costi per avviare ciascun IC arrivano fino a 100.000 dollari, più la metà delle spese di mantenimento (il cui restante 50% è a carico della struttura ospitante) e di 60.000 per ogni Classe. E proprio attratte dai generosi finanziamenti concessi, le Università hanno per lo più favorito l’insediamento di IC, poco curanti dei condizionamenti, non solo ideologici, imposti al loro operato.
Proprio per salvaguardare la libertà di pensiero e di azione – come già detto – alcune importanti Università americane, europee e australiane hanno rifiutato di aprire IC al loro interno. Mentre la revoca per l’Università di Lione, accusata di non favorire abbastanza l’integrazione dell’IC, è stata attuata per ordine di Pechino.
Come se tutto ciò non bastasse va ricordato che non mancano sospetti e accuse di corruzione, anche dall’interno della RPC, per le gare d’appalto. Opinionisti e parte della popolazione non possono che confrontare i soldi spesi per gli IC con quelli dedicati per la formazione in Patria, dove centinaia di migliaia di bambini non possono permettersi di andare a scuola. Mentre nelle zone isolate addirittura non ci sono né classi ne libri di testo e nelle campagne solo il 40% dei ragazzi riesce a frequentare le scuole superiori, con un tasso di abbandono del 25% durante le medie inferiori
Gaia Bruno e Fabiana Rendine Renzi
Bibliografia:
https://formiche.net/2023/03/istituti-confucio-francoforte-italia/#content

