USA: “Hacker cinesi spiano studi su Covid, Chiesa e Hong Kong (e altro)”

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USA: “Hacker cinesi spiano studi su Covid, Chiesa e Hong Kong (e altro)”

Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d’America ha accusato – fino a prova contraria in tribunale – due hacker cinesi residenti nella madre patria (presumibilmente nella provincia del Guangdong) di aver rubato e trafugato numerose informazioni su svariati settori, dal Coronavirus a Hong Kong, passando per la Chiesa e i segreti industriali/militari.

Hacker cinesi: chi attaccavano e in che modo

In base alla nota diffusa dal Dipartimento, il modus operandi dei due hacker cinesi – Li Xiaoyu di 34 anni e Dong Jiazhi di 33 anni -, ingegneri elettronici a Chengdu (AGI), ora ricercati, si basava sulla violazione di sistemi informatici di numerosi governi, varie aziende e diverse organizzazioni. Non contenti, i due avrebbero colpito anche “singoli dissidenti, clero e attivisti democratici e per i diritti umani negli Stati Uniti e all’estero, comprese Hong Kong e la Cina”, come riassume Il Sole 24 Ore.

Tra le accuse, inoltre, si legge che i due hacker cinesi sarebbero venuti in possesso di informazioni abbastanza importanti, sopratutto di natura commerciale, industriale e militare. Ciliegina sulla torta, poi, essere riusciti a sottrarre ricerche sul vaccino contro il Coronavirus. A riprova del fatto, ci sarebbe una società della California, che studia appunto cure per il Covid, colpita dai due a settembre 2020.

Tra le vittime governative più illustri ci sarebbero Australia, Belgio, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Lituania, Olanda, Spagna e Svezia. Ma anche “una società di intelligenza artificiale inglese, un contractor della difesa spagnola, un’azienda dell’energia solare svedese. E ora, naturalmente, i laboratori del vaccino che tutti vorrebbero” (Il Corriere della Sera).

Hacker cinesi, tra spirito patriottico e avventure personali

Per chi lavoravano? In alcuni casi, per fini personali, e quindi alla ricerca di un guadagno con furti e ricatti. In altri frangenti, però, dietro a certe operazioni ci sarebbe la Repubblica Popolare Cinese, con le relative agenzie governative. In particolare, entrambi avrebbero un contratto con il Ministero della sicurezza statale di Pechino (l’intelligence locale) e per la sua sede provinciale, appunto, del Guangdong.

Proprio in forza di questo contratto, “i due spiavano anche la corrispondenza telematica degli organizzatori delle proteste anti-Cina in corso ad Hong Kong, di vari dissidenti, della Chiesa cristiana nello Xi’An, della Chinese Christian house non riconosciuta dalla Repubblica popolare, dell’animatore delle proteste (datate) a Tienammen e perfino le mail tra i dissidenti e il Dalai Lama” (Il Sole 24 Ore).

Tra l’altro, la loro attività non sarebbe solo recente, ma si sarebbe consolidata con un giro d’affari che pone le proprie radici nel 2009, e che avrebbe fruttato loro furti di segreti commerciali e proprietà intellettuale per “centinaia di milioni di dollari” (Il Corriere della Sera).

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La Cina risponde: “Assurdità”

Come in altre occasioni (Istituto Confucio), anche in questo caso la risposta della Cina è arrivata dal portavoce del Ministero degli Esteri, Wang Wenbin: “Tutte assurdità, il governo della Repubblica popolare è contrario a ogni forma di cyber attacco” (Corriere). D’altra parte, però, il dubbio resta, visto che Christopher Wray, direttore del Federal Bureau of Investigation, ha sottolineato che “apriamo un fascicolo investigativo sulla Cina ogni 10 ore” (Corriere).

Articolo di Angelo Andrea Vegliante