La Verità Necessaria (Roma, 02/07/2013)

La Verità Necessaria (Roma, 02/07/2013)

I PROCESSI DI RICONCILIAZIONE NEI PAESI DELLE PRIMAVERE ARABE

L’Associazione Italia Tibet è stata invitata a partecipare a questo importante Convegno, nella persona di Marilia Bellaterra, delegata in qualità di Consigliere Nazionale. Il Presidente dell’Associazione Italia Tibet, Claudio Cardelli, ha esteso l’invito a Nyima Dhondup, Presidente della Comunità Tibetana in Italia.

Il Convegno si è svolto nella Sala del Mappamondo a Palazzo Montecitorio, nella giornata del 2 Luglio 2013.

Questo il senso e lo spirito del Convegno: “In alcuni Paesi delle Primavere arabe sono in atto – pur tra difficoltà e battute d’arresto – importanti processi di riconciliazione, che si inseriscono in una fase di profonda trasformazione di tutta la regione mediterranea. In tali contesti, alla pacificazione interna e alla giustizia transizionale, si affianca la necessità di dare voce alle vittime dei conflitti, premessa indispensabile per la costruzione di società democratiche e libere. L’iniziativa intende promuovere una maggiore sensibilizzazione sul tema della verità e della riconciliazione nei Paesi delle Primavere arabe, nonché contribuire a fornire alcuni esempi di buone prassi che potrebbero essere applicate laddove le violenze non sono ancora cessate”.

L’iniziativa della Camera dei deputati ha avuto il patrocinio del Ministero degli Affari esteri ed è stata organizzata in collaborazione con l’organizzazione non governativa Ara Pacis Initiative e con l’associazione libica Observatory for Gender in Crisis. Su invito della Presidente Boldrini, al convegno hanno partecipato rappresentanti politici e istituzionali, attivisti per i diritti umani e giornalisti provenienti da Libia, Egitto, Siria e Tunisia.

Hanno fornito, inoltre, la propria testimonianza una vittima di violenze avvenute nel contesto del conflitto in Libia nel 2011 e il combattente che liberò lei e decine di uomini, donne e bambini imprigionati dal regime.

“L’iniziativa”, ha dichiarato Laura Boldrini, “s’inserisce nel quadro di un rinnovato impegno, da parte della comunità internazionale, a porre fine alle violenze sessuali nelle situazioni di conflitto armato. E’ di due giorni fa, infatti, l’approvazione di una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su tale tema. E proprio nel corso del convegno a Roma verrà illustrata una proposta di legge libica che intende equiparare le vittime di tali violenze alle vittime di guerra, un’iniziativa che auspico possa diventare un esempio a livello internazionale”.

Al convegno sono intervenuti, oltre alla Presidente della Camera Laura Boldrini,

  • Khalid Chaouki, Deputato e Presidente della Commissione Cultura dell’Assemblea parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo (AP-UpM)
  • Maria Nicoletta Gaida, Presidente dell’Ara Pacis Initiative
  • Annick Cojean, giornalista di Le Monde e autrice di “Le prede: nell’harem di Gheddafi”.
  • Juma Ahmad Atigha, Presidente ad interim del Congresso generale nazionale della Libia
  • Souhayr Belhassen, attivista tunisina e presidente onorario della Fédération Internationale des Droits de l’Homme (FIDH)
  • Burhan Ghalioun, Professore di sociologia politica alla Sorbonne, ex Presidente e oggi membro dell’organo esecutivo del Consiglio nazionale siriano
  • Ayman Al Sayyaad, Direttore del mensile egiziano Weghat Nazar ed ex consigliere del Presidente egiziano Morsi
  • Lina Tibi, poetessa e attivista siriana per i diritti umani
  • Lucia Goracci, giornalista, ha moderato il Convegno
  • Ha concluso Marta Dassù, Vice Ministro degli Affari esteri.

Tutte le foto sono state gentilmente fornite da Umberto Battaglia, fotografo Ufficiale della Camera dei Deputati.

L’appuntamento è stato trasmesso in diretta webtv

Di seguito il testo dell’intervento di Laura Boldrini.

Vorrei innanzitutto ringraziare tutti voi, relatori e partecipanti, per aver voluto prendere parte a questa iniziativa e la Ara Pacis Initiative, l’associazione che ha promosso questo evento e che, con il sostegno del Ministero italiano degli Affari esteri, sta attuando un importante progetto che promuove i processi di riconciliazione in Libia. Un ringraziamento particolare e sentito va alle persone che racconteranno delle violenze subìte o a cui hanno assistito. So, per esperienza maturata in anni di lavoro nelle agenzie delle Nazioni Unite, che ricordare è un esercizio molto doloroso per le vittime e non sempre si trova il coraggio di farlo.

Ospitando questo evento, abbiamo voluto focalizzare l’attenzione su un tema fondamentale in tutti i contesti post-conflittuali, quello delle violenze sessuali che, purtroppo sempre più di frequente, fungono da strumento di guerra. Uno strumento di guerra che umilia i civili, che dilania le comunità, che lascia ferite profonde le cui tracce faticano ad essere cancellate con il passare delle generazioni. Penso alla Repubblica democratica del Congo, dove una donna su otto – due su tre nella provincia del Nord Kivu, secondo le stime delle organizzazioni presenti in loco – è stata stuprata da ribelli o soldati. Penso a quanto accaduto qualche decennio fa, durante le guerre fratricide nei Balcani, dove la violenza sessuale era una componente essenziale della pulizia etnica.

Penso anche a quelle donne ed a quelle ragazze che ho incontrato a Lampedusa nel corso degli anni in cui ho lavorato per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, l’UNHCR. Donne e ragazze che, in fuga da guerre, violenze e persecuzioni, sono state abusate durante il viaggio dai trafficanti e dagli sfruttatori. Donne e ragazze che, scappate dalle violenze nel proprio Paese, spesso si trovano a subirle ancora laddove dovrebbero trovare la salvezza.

L’incontro di oggi – che ha luogo mentre seguiamo con apprensione quanto accade proprio in uno dei Paesi di cui parleremo, ovvero l’Egitto – s’inserisce nel quadro di un rinnovato impegno, da parte della comunità internazionale, a porre fine alle violenze sessuali nelle situazioni di conflitto armato, violenze riconosciute fin dal 2008 – quando venne approvata una importante Risoluzione del Consiglio di Sicurezza sulle donne, la pace e la sicurezza – come ‘crimini di guerra, crimini contro l’umanità o atti costitutivi rispetto al genocidio’. Sulla scia di una nuova campagna di sensibilizzazione promossa in ambito multilaterale, una settimana fa è stata infatti approvata una ulteriore Risoluzione del Consiglio di Sicurezza su tale tema. Nel testo, che richiama i precedenti documenti approvati dalle Nazioni Unite e le iniziative messe in campo per combattere tale fenomeno, si fa riferimento, in maniera forte ed innovativa, a tutte le vittime di tali violenze. Non sono solo le donne, infatti, ad essere stuprate dai miliziani o dai soldati degli eserciti regolari. Tra le vittime ci sono anche bambini, a volte – ed un tale orrore è difficile perfino da immaginare – ancora in fasce. E ci sono molti uomini.

Se raccontare ciò che si è subìto è difficilissimo per una donna, lo è sicuramente anche per gli uomini. Eppure sappiamo che accade. La parola e il racconto, sia pur dolorosi, possono però contribuire a incamminarsi di nuovo verso il futuro. Ciò vale per gli individui, ma vale anche per le società. E’ solo attraverso il racconto della verità che una comunità può trovare giustizia e pace, che una popolazione lacerata da un conflitto tra fratelli può sperare di giungere alla riconciliazione, premessa indispensabile per la costruzione di società democratiche.

E’ ciò che è accaduto, ad esempio, nel Ruanda uscito dal genocidio in cui in 100 giorni sono state uccise circa un milione di persone. Un orrore che ha visto vicini massacrarsi in nome della presunta appartenenza etnica. Un orrore che sembrava impossibile da superare ed i cui colpevoli – decine di migliaia di persone – non potevano essere tutti giudicati utilizzando gli strumenti del diritto occidentale. Eppure, attraverso le decine di tribunali comunitari gacaca, fondati sulla giustizia tradizionale, si è cercato di raggiungere una pacificazione ed una riconciliazione che permettesse a questo Paese di rialzarsi e di guardare al futuro. E la giustizia transizionale – che attinge spesso ai modelli di giustizia tradizionale – è stata applicata anche nel Sudafrica uscito dall’apartheid, attraverso il lavoro meticoloso della Commissione per la Verità e la Riconciliazione.

Scopo di questa iniziativa, dunque, è andare oltre la mera denuncia di ciò che è accaduto – e di ciò che in alcuni casi accade tuttora – nei Paesi che hanno vissuto la cosiddetta Primavere araba e che sono in transizione verso la democrazia o dove la guerra continua ancora oggi a mietere centinaia di vittime.

I relatori, che da tali Paesi provengono o di cui sono attenti conoscitori, non si limiteranno a descrivere come il corpo – delle donne, in primis, ma anche degli uomini – possa essere utilizzato per umiliare chi si oppone ad un regime o chi rivendica il diritto di scendere in piazza per la democrazia e per il riconoscimento della libertà e dei diritti delle donne. Oggi si parlerà anche di come la verità sia un potente mezzo per proteggere chi ha il coraggio di parlare, tutelando così la singola vittima e, attraverso l’operato della giustizia, agendo per far sì che tali violenze non si ripetano più e che chi le ha commesse non rimanga impunito.

Lo stigma ed il silenzio che ne consegue perpetuano la vergogna provata da chi ha subìto tali violenze. Il riconoscimento – pubblico ed ufficiale – delle vittime, invece, le rende figure eroiche, quali dovrebbero essere e di fatto sono. Oggi si parlerà, tra l’altro, di una proposta di legge libica che intende equiparare le vittime delle violenze sessuali avvenute durante il conflitto del 2011, nonché le vittime degli abusi perpetrati in maniera sistematica durante gli anni del regime di Gheddafi, alle vittime di guerra, risarcendole per quanto subìto e fornendo loro assistenza. Si tratta di un’iniziativa che auspico venga approvata, così da diventare anche un esempio a livello internazionale, dimostrando come – nonostante gli ostacoli, le difficoltà e le battute d’arresto – nei Paesi della Primavera araba si possa percorrere il cammino che conduce ad una riconciliazione vera, duratura e sostenibile.