Tibet: tre monaci di Kirti in isolamento per proteste contro il regime cinese

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Tibet: tre monaci di Kirti in isolamento per proteste contro il regime cinese

Tre monaci del monastero di Kirti, nella contea di Ngaba (provincia di Sichuan), sono stati arrestati e condotti in isolamento per aver protestato contro la Cina. Tutte e tre le manifestazioni sono avvenute in solitaria e in altrettanti momenti diversi.

Il primo blocco è avvenuto il 5 settembre. Dopo aver lasciato il monastero, Dorje Rabten, monaco 23enne, si è recato tra le strade di Ngaba al grido di Libertà per il Tibet. Il ragazzo è stato subito fermato e, da allora, non si hanno più sue notizie.

Il secondo arresto, invece, è avvenuto il giorno seguente. Anche Tenzin Gelek, monaco 18enne, ha dato il via a una manifestazione solitaria richiamando la libertà per il suo paese. In precedenza, il giovane, con lo pseudonimo Sarin, aveva postato su WeChat frasi di condanna contro il regime cinese (“Pensate che io possa continuare a vivere?”).

Infine, riguardo al terzo stato di fermo, non si hanno molte notizie: un monaco di cui non si conosce il nome è stato trattenuto in isolamento per le stesse motivazioni di Rabten e Gelek. Attualmente, non si conoscono le sorti e le condizioni dei tre arrestati. Il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia (TCHRD) ha condannato gli episodi e ha richiesto l’immediata liberazione dei tre monaci, ai sensi del diritto di protesta pacifica riconosciuto dalle leggi internazionali, che la stessa Cina ha riconosciuto e ratificato.

Monastero di Kirti: non è il primo caso

Il monastero di Kirti (con più di 2500 monaci) è stato teatro di numerosi casi di repressione a fronte di proteste pacifiche. La prima autoimmolazione, ad esempio, risale al 27 febbraio 2009, portata avanti dal monaco 24enne Tapey. Ma la questione non riguarda solo Kirti.

Anche altri monasteri, infatti, sono balzati alle cronache a causa dei metodi coercitivi del regime cinese. Il 23 marzo 2009, attorno al monastero di Ragya, più di 2000 persone scesero in piazza per protestare contro le violenze poliziesche. Fu il suicidio del monaco 28enne Tashi Sangpo a causare la scintilla: il ragazzo si gettò nelle acque di un fiume dopo che la polizia lo aveva interrogato e torturato. La sua colpa? Aveva esposto la bandiera nazionale tibetana, simbolo d’indipendenza contrario alle leggi del partito comunista cinese.

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Fonte: tibettimes.net

Situazione preoccupante

Generalmente, i monaci detenuti finiscono nei campi di lavori forzati, dove subiscono sedute di rieducazione patriottica. In sostanza, le forze interne li costringono a rinnegare il Dalai Lama e a giurare piena fedeltà al Partito Comunista. Già nel 2011, ad esempio, si hanno diverse notizie al riguardo, secondo cui molti monaci erano sottoposti a forme di torture di queste tipo.

In quei giorni, fecero scalpore anche le dichiarazioni rivolte ai monaci del locale capo del Dipartimento del Fronte Unito per il Lavoro: “La chiusura o la distruzione del monastero è nelle vostre mani, dipende dal vostro comportamento“.

Un altro dato: dal 2009 al 2013, si contano ben cento tibetani che si sono dati fuoco per protestare contro la Cina. E la tendenza non accenna a diminuire: ad oggi, infatti, sono già oltre 170 le persone che si sono immolate per la causa tibetana. “Il Tibet è davvero un inferno – aveva dichiarato Nyima Dhondup, presidente della comunità tibetana in Italia, nel 2013 a tempi.it -, la gente crede che sia un bel paese con tanti monaci che meditano ma la dittatura cinese è terribile. Il paese, infatti, è chiuso ai giornalisti e spesso anche ai turisti. La Cina ha paura di farlo vedere al mondo, perché ha tanto da nascondere“.

Articolo di Angelo Andrea Vegliante