Il popolo tibetano ha vissuto un 2018 caratterizzato da numerose restrizioni dei diritti umani. A confermarlo è stato il Tibetan Centre for Human Rights and Democracy, con una relazione pubblicata il 9 maggio 2019.
Restrizioni dei diritti umani: cosa sta succedendo?
Come riportato da Radio Free Asia, le restrizioni dei diritti umani sono stati i problemi principali per il popolo tibetano. La Cina, infatti, durante lo scorso anno, ha portato avanti una campagna contro “le pratiche culturali tibetane”, osservate dal governo nazionale con la valenza del ‘crimine organizzato’. Ad esempio, sono da ricordare le diverse limitazioni, anche molto aspre, imposte “sui viaggi dei tibetani”.
Le conseguenze principali attorno queste misure politiche sono sfociate in detenzioni, arresti e torture di diversi attivisti dei diritti umani, spesso legati alla difesa dell’ambiente locale e della lingua tibetana. Basti pensare, ad esempio, a Tashi Wangchuk, condotto in carcere con l’accusa di diffondere sentimenti separatisti per aver semplicemente promosso lo studio e l’utilizzo della lingua tibetana.
Limitazioni della libertà sociale e religiosa
La relazione annuale presentata dal Tibetan Centre for Human Rights and Democracy trova le sue conferme anche in materia di libertà d’espressione. Secondo quanto scrive RFA, “il pacifico dissenso di qualsiasi tipo e grado è stato colpito da pene severe”. Cioè, erano fatte tacere tutte le parole ‘fuori posto’ per il governo di Xi Jinping, con operazioni tutt’altro che umane. In merito alle restrizione dei diritti umani, è la religione a essere protagonista (suo malgrado). Ad esempio, “le istituzioni religiose tibetane erano prese di mira per il loro ruolo nella promozione dell’istruzione linguistica tibetana”.
E non solo, in quanto qualche settimana fa, un report dell’USCIRF sottolineava le numerose violazioni della Cina in tema di libertà religiosa. A cui si aggiunge, poi, la limitata libertà di stampa, come accusato da Reporter Senza Frontiere. A tal proposito, infine, fanno discutere le testimonianze giornalistiche che certificherebbero – ancora una volta e a dispetto dei dinieghi – l’esistenza di campi di concentramento in varie zone della Cina, che puntano alla salvaguardia dell’ideologia cinese in tutto il territorio.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante