Il Tibet oggi

Michael C. van Walt van Praag, noto esperto di diritto internazionale, in appendice ad un suo articolo scritto per la rivista International Relations, riassume i principali aspetti della questione tibetana sotto il profilo del diritto internazionale. Il governo tibetano in esilio, guidato da Sua Santità il Dalai Lama, ha costantemente sostenuto che il Tibet si trova sotto l’illegale occupazione cinese in quanto la Cina ha invaso questo paese, politicamente indipendente, nel 1949/50. La Repubblica Popolare Cinese, di contro, insiste nel sostenere che i suoi rapporti con il Tibet sono semplicemente un suo affare interno poiché il Tibet è ed è stato per secoli parte integrante della Cina. La questione dello status del Tibet è essenzialmente una questione legale ma di grande rilevanza politica.

La Repubblica Popolare Cinese non rivendica alcun diritto di sovranità sul Tibet come conseguenza della sottomissione militare e dell’occupazione del paese in seguito all’invasione armata del 1949/50. Difficilmente infatti potrebbe sostenere questa tesi poiché rifiuta categoricamente, in quanto illegale, ogni rivendicazione di sovranità basata sulla conquista, l’occupazione o l’imposizione di trattati ingiusti avanzate da altri Stati. La Repubblica Popolare cinese reclama invece il suo diritto sul Tibet asserendo che il Tibet è diventato parte integrante della Cina settecento anni fa (1).

Il che è in aperto contrasto con la sua storia …

Il sistema politico e l’attuale dirigenza

Il Tibet è strettamente governato dal Partito Comunista Cinese presente con propri distaccamenti in ogni provincia, prefettura autonoma e nella Regione Autonoma Tibetana (TAR). Subordinato al Partito, il Governo ne porta a compimento le direttive. Nella sola Lhasa sono attivi oltre sessanta tra Dipartimenti e Comitati molti dei quali lavorano in stretto contatto con i rispettivi uffici nazionali a Pechino. L’autonomia della TAR è quindi del tutto inesistente.

Il Partito Comunista mantiene in Tibet un  contingente militare di occupazione (almeno 250.000 uomini). Soldati e poliziotti – spesso in abiti civili – controllano le vie della capitale e degli altri centri urbani. Soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni ’90, il Partito ha curato l’organizzazione di quadri fedeli alle sue direttive, destinati a controllare capillarmente il territorio tibetano, comprese le aree rurali, allo scopo di sradicare alla base ogni forma di separatismo e di eliminare ogni manifestazione di sostegno al Dalai Lama e al Governo Tibetano in Esilio.

Il Congresso Nazionale del Popolo, riunito a Pechino nel marzo 2003 per la nomina della nuova dirigenza cinese ha premiato con incarichi importanti alcuni leader di spicco che, nella passata legislatura, hanno svolto ruoli di primo piano in Tibet. E’ il caso di Chen Kuiyuan, ex segretario del Partito nella Regione Autonoma Tibetana negli anni ’90. Chen, sostenitore della “linea dura” e fautore delle tre campagne di “educazione patriottica”, “civilizzazione spirituale” e “colpisci duro”, è stato eletto membro del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese di cui figura tra i 24 vice presidenti. Ciò indica la determinazione del Partito e del governo di Pechino a mantenere il Tibet in una stretta morsa assicurando la continuità della linea politica. Anche il cambio della guardia ai vertici della Regione Autonoma Tibetana sembra avvalorare questa tendenza. Alla carica di nuovo Presidente del Tibet è stato eletto Jampa Phuntsog, ex vice segretario del Partito e ora chiamato a svolgere un ruolo di governo.

Segretario del Partito è un cinese, Yang Chuantang, che ha sostituito Guo Jinlong, eletto al prestigioso incarico nel 2000 al posto del “duro” Chen Kuiyang. Yang Chuantang è ritenuto molto vicino a Hu Jintao che lo volle con sé quando era Segretario del Partito in Tibet. Nessun tibetano è mai stato eletto segretario del Partito, ruolo che, di fatto, garantisce la gestione del potere (2).

La condizione dei tibetani

In Tibet la situazione rimane grave. Continua l’afflusso dei coloni cinesi che hanno ormai ridotto i tibetani ad una minoranza all’interno del loro paese, con una presenza di sette milioni e mezzo di coloni han contro sei milioni di tibetani. E’ per questo che la situazione in Tibet è stata definita “genocidio per diluizione” …

Le attività religiose e la libertà di culto sono fortemente ostacolate, proseguono gli arresti e le detenzioni per semplici  reati d’opinione e i detenuti sono percossi e torturati. Il “miracolo economico” cinese non reca alcun concreto vantaggio ai tibetani che sono progressivamente emarginati dal punto di vista sia economico sia sociale. Le stesse grandiose infrastrutture (gasdotti, ferrovie, aeroporti), volute dal governo di Pechino, non sono di beneficio alla popolazione tibetana. Anzi, favorendo l’afflusso di nuovi coloni, costituiscono un’ulteriore minaccia alla cultura e alle tradizioni peculiari del paese oltre a comprometterne seriamente l’equilibrio ambientale.

Le autorità cinesi esercitano un rigido e capillare controllo sulla popolazione, considerando le opposizioni al regime attestazione di separatismo. Fonti attendibili hanno riferito che i giorni 11 e 12 novembre 2003, speciali “gruppi di lavoro” composti di funzionari governativi si sono recati nei villaggi e hanno intimato alla popolazione tibetana delle contee di Kardze e Lithang (Sichuan), composta prevalentemente da contadini, di consegnare tutte le fotografie del Dalai Lama entro un mese, pena la confisca della terra. Il 21 novembre, il governo tibetano in esilio ha definito questa misura “provocatoria” e ha accusato la Cina di volere deliberatamente esasperare la popolazione tibetana del Sichuan per poter pretestuosamente intervenire con la forza.

Dal 2001, la provincia del Sichuan, che in passato aveva goduto di una relativa libertà di culto, è divenuta uno dei punti focali della campagna contro il Dalai Lama e i suoi sostenitori, definiti la Sua “cricca”. Tra le personalità di spicco oggetto della repressione cinese figurano Geshe Sonam Phuntsok (che attualmente sta scontando una lunga pena detentiva), Tenzin Delek Rinpoche (condannato a morte dopo un processo farsa) e l’abate di Serthar, Jigme Phuntsok, deceduto il 6 gennaio 2004 a Chengdu dopo un’operazione al cuore. A lungo era stato trattenuto dalla polizia mentre il suo monastero era distrutto e i monaci e le monache allontanati con la forza.

Il gruppo d’informazione Tibet Information Network ha reso noto che il 29 agosto 2003 sei monaci residenti nella Contea di Kakhog, Prefettura di Ngaba, (Amdo) sono stati arrestati e condannati a pene detentive varianti da uno a dodici anni per aver distribuito volantini inneggianti all’indipendenza del Tibet. Dopo l’arresto dei religiosi, avvenuto nel corso dell’annuale “Yak Festival”, il personale dell’Ufficio di Pubblica Sicurezza ha fatto irruzione nella stanza di uno dei monaci, ha confiscato numerose fotografie del Dalai Lama e una bandiera tibetana. T.I.N. rileva che questi arresti e le relative condanne costituiscono un fatto senza precedenti in Amdo e si inseriscono nella crescente ondata di repressione in atto nelle regioni al di fuori della Regione Autonoma Tibetana.

Anche nella Regione Autonoma continuano tuttavia gli arresti e le violenze. Il 2 dicembre 2004 si è appreso che Yeshe Gyatso, un tibetano di settantadue anni, ex funzionario governativo, arrestato a Lhasa nel giugno 2003 assieme a due studenti universitari, è stato condannato a sei anni di carcere. Il 16 dicembre 2004, TibetNet ha diffuso la notizia della morte, in un ospedale di Shigatse, di Tenzin Phuntsok, sessantaquattro anni, arrestato il 21 febbraio 2003 perché sospettato di coinvolgimento in attività politiche “sospette”. I tibetani di Khangmar, suo paese natale, ritengono che Phuntsok, in ottima salute prima dell’arresto, sia morto in seguito alle torture subite durante gli interrogatori presso il centro detentivo di Nyari. Lascia la moglie e undici figli. La notizia della morte di Tenzin Phuntsog, giunta solo pochi mesi dopo quella della morte di un altro tibetano, Nyima Drakpa, le cui condizioni di salute si erano seriamente aggravate dopo le torture subite in carcere, propone il problema dell’effettivo rispetto da parte della Cina delle norme contenute nella Convenzione ONU Contro la Tortura, di cui Pechino è, paradossalmente, firmataria …

Il 16 dicembre 2003, il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia (TCHRD) ha reso noto inoltre che Nyima Tsering, un insegnante sessantacinquenne, è stato condannato dal tribunale di Gyantse a cinque anni di carcere per “istigazione delle masse”. Il TCHRD ha fatto sapere che la sentenza contro Nyima, arrestato nel dicembre 2002 assieme ad un negoziante con l’accusa di aver divulgato libelli indipendentisti, è stata pronunciata nel giugno 2003. Il tibetano sta scontando la pena nella prigione di Drapchi, a Lhasa. Uno di tanti carceri di massima sicurezza (2).

1. http://www.italiatibet.org/index.php?option=com_content&view=article&id=49&Itemid=69
2. http://www.italiatibet.org/index.php?option=com_content&view=article&id=48&Itemid=68