In Cina continua il business legato al trapianto di organi. E non è illegale

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In Cina continua il business legato al trapianto di organi. E non è illegale

L’industria del trapianto di organi in Cina è aumentata a dismisura, ma non in maniera trasparente. Come riporta un articolo di Laogai.it, il regime cinese starebbe portando avanti un business abbastanza notevole di espianti di organi provenienti da prigionieri cinesi giustiziati. Al momento vi sono diversi fattori che fanno pensare ciò.

Trapianto di organi: una pratica decennale e falsata

L’attenzione della Cina riguardante il trapianto di organi è cresciuta in maniera esponenziale a partire dal 1999. Uno sviluppo innaturale che, alla lunga, ha attirato la curiosità da parte della comunità internazionale, che nel 2006 ha cominciato a muovere le prime accuse sul prelievo forzato di organi. Così, nel 2015, il paese asiatico annunciava di smettere di utilizzare gli organi dei prigionieri giustiziati ma vi sono ancora delle perplessità in merito.

Secondo i dati ufficiali del regime cinese, infatti, nel 2017, il proprio governo avrebbe autorizzato più di 15 mila trapianti di organi, il 2° più alto nel mondo. Statistica in netto contrasto con il numero di donatori di organi registrati, che non equivale a quello di donazioni di organi effettivi. Una percentuale che risulta essere 140 volte più grande rispetto a paesi come USA e Regno Unito. Inoltre, il rapporto investigativo Bloddy Harvest di David Kilgour, David Matas e Ethan Gutmann stima che la Cina non esegua meno di 60-100 mila trapianti ogni anno. Dunque, viene lecito chiedersi da dove provengano i restanti 45-85 mila.

Un’industria mondiale: il turismo del trapianto

Il trapianto di organi in Cina vanta una vera e propria industria mondiale. Per questo motivo, moltissimi pazienti in giro per il globo sono attratti da ciò, anche perché vi è un’assenza di una regolamentazione rigida in merito e diverse organizzazioni internazionali di trapianto hanno dato il loro consenso a questa pratica. In questo contesto, nel febbraio 2017, funzionari della Cina in visita al Vaticano per una conferenza scientifica hanno dichiarato che il turismo del trapianto di organi è vietato nel proprio paese. Eppure aleggiano diversi dubbi.

Ad esempio, nel novembre dello stesso anno, la coreana Chosen TV ha realizzato un reportage in materia, con il pretesto di cercare trapianti di rene per parenti al Centro Oriental Organ Transplant a Tianjin. Grazie a una telecamera nascosta, la troupe ha registrato la directory dell’ospedale mentre elenca tre reparti internazionali dedicati al turismo del trapianto e un’infermiera che ammette che la maggior parte degli organi proviene dal Medio Oriente, con il benestare del governo.

La mancanza di una legge efficace

Perché abbiamo scritto che questa pratica non è illegale? Perché, di fatto, è così. Nel 1984, la Cina ha realizzato disposizioni riguardanti l’autorizzazione al prelievo di organi da prigionieri giustiziati. Contrariamente a quanto detto nel 2015, queste normative non sono state eliminate e, quindi, sono ancora valide per legge. Inoltre, non v’è alcun diritto in Cina che proibisca la raccolta di organi da prigionieri. Insomma, nel quadro giuridico c’è una falla enorme e, tenendo in considerazione che il sistema sanitario cinese è per lo più privatizzato, lo stimolo economico attorno a questa pratica risulta molto invitante.

A fronte di questa situazione, è stata avanzata più volte una maggiore attenzione da parte dei paesi internazionali che, negli ultimi tempi, hanno condannato diverse azioni del regime cinese. Purtroppo, però, senza alcun risultato. Per ora.

Articolo di Angelo Andrea Vegliante