Hong Kong, ancora forti tensioni (anche online): facciamo il punto

Proteste Hong Kong

Hong Kong, ancora forti tensioni (anche online): facciamo il punto

Che non fossero mesi semplici per Hong Kong lo avevamo già capito in diverse occasioni. Basti pensare alla recente manifestazione non autorizzata nell’hub aeroportuale dell’isola, che ha costretto la cancellazione di circa 130 voli (se non di più). La Cina, come sappiamo, ha apertamente condannato le azioni dei dimostranti, giudicandole – come afferma l’edizione cartacea di Repubblica del 13 agostoatti di terrorismo. Tuttavia non c’è solo un quadro interno intricato. Anche gli Stati Uniti hanno detto la loro, a favore soprattutto dei contestatori di Carrie Lam. Dichiarazioni che il governo centrale cinese non ha gradito, rivolgendo agli USA esortazioni a evitare interferenze in affari che non li riguardano.

Salgono le possibilità di un intervento militare della Cina a Hong Kong?

Sì, e anche parecchio. Se i giorni scorsi era mera speculazione – in negativo, vista l’importanza commerciale di Hong Kong -, le cose sono cambiate. L’animo dei commentatori si è fatto cupo per le immagini diffuse da il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito comunista cinese. In pratica, le foto ritraevano “reparti paramilitari inviati da Pechino nella città di Shenzhen“, metropoli della Cina confinante con Hong Kong, spiega Repubblica. Un episodio rafforzato anche dal fatto che, come detto più volte, la Cina può legalmente difendere l’amministrazione dell’ex colonia britannica anche con la forza.

Le controindicazioni di una ‘guerra interna’

Nonostante una cornice frammentaria, la Cina continua a essere titubante nel voler mostrare la propria forza militare in diretta mondiale. Secondo un’analisi de Il Manifesto, nell’edizione cartacea del 13 agosto scorso, bisogna capire se Xi Jinping “possa permettersi un eventuale colpo di mano militare, dopo anni di faticosa costruzione di una reputazione internazionale capace di accreditarla come una potenza responsabile”. Un commento che, però, stona con le numerose notizie di violazione dei diritti umani compiute dal governo asiatico nei confronti di minoranze religiose, come tibetani e uiguri.

Un compromesso politico è impossibile

Il Manifesto riporta anche il pensiero di Kerry Brown, grande conoscitore della Cina, il quale ha veicolato il proprio messaggio attraverso The Spectator. In particolare, Brown “ritiene che la mancanza di uniformità tra le anime dei manifestanti possa costituire un vantaggio per Pechino”. Tuttavia, è altresì vero che “questa frammentazione, unita alla mancanza di un programma politico unificante da contrapporre innanzitutto al governo cittadino, potrebbe risultare anche un’eventualità capace di mettere in difficoltà il governo centrale cinese”. Perché? Semplice: nel caso in cui la Cina volesse trattare un compromesso politico, non avrebbe proposte concrete da presentare per una mediazione pacifica.

Come stanno rispondendo i manifestanti

Oramai i contestatori sono diventati una voce politica senza la quale non si va da nessuna parte. Posto il fatto che la legge sull’estradizione è ormai defunta, il passo successivo per i manifestanti è bloccare il futuro del 2047. Come? Sempre il Manifesto ipotizza la spinta al suffragio universale. In particolare, l’articolo 68 del Basic Law recita:

Il consiglio legislativo della regione amministrativa speciale di Hong Kong è costituito per elezione. Il metodo per formare il consiglio legislativo è specificato alla luce della situazione attuale nella regione amministrativa speciale di Hong Kong e conformemente al principio del progresso graduale e ordinato. L’obiettivo finale è l’elezione di tutti i membri del Consiglio legislativo a suffragio universale“. 

In aggiunta, la popolazione chiede inchieste serie contro la polizia. Le Forze dell’Ordine, infatti, sono accusate di aver compiuto svariati atti violenti nei confronti dei manifestanti, tra cui l’uso di gas lacrimogeno e infiltrazioni di entità esterne.

https://twitter.com/saluti37/status/1163501459952099331

Facebook e Twitter contro la propaganda anti-Hong Kong

E intanto Facebook e Twitter scendono in campo per sedare la propaganda cinese contro Hong Kong. Come riporta Ansa, infatti, ” i due social sospendono falsi account originati in Cina e che avevano nel mirino le manifestazioni pacifiche con l’obiettivo di ‘seminare discordia’: gli account infatti mostravano come i manifestanti agissero in modo violento o fossero spinti da altre motivazioni nello scendere in piazza”. Al momento “Facebook ha rimosso ‘sette pagine, tre gruppi e cinque account’ di disinformazione, mentre Twitter ha bloccato 936 account”. Una battaglia che, ormai, si gioca su più fronti.

Articolo di Angelo Andrea Vegliante

Fonte immagine principale: Epoch Times